Autore: Stephen Roberts
Editore: Kairos
Pedagogia

Sono i film di Hollywood le nuove fiabe?

In una conferenza del 1992 all’Università di Harvard, Gore Vidal, scrittore e commediografo americano nonché autore della sceneggiatura di Ben Hur, affermò che i libri e chi li scrive non possono più aspirare alla fama di un tempo: di loro al giorno d’oggi non si parla più come si fa invece per un film di successo.

Per quanto possa essere noto negli ambienti culturali, un romanziere (o un poeta) difficilmente diventerà un personaggio conosciuto: il romanzo in quanto tale ha scarsa rilevanza, tanto per gli intellettuali quanto – a maggior ragione – per la gente comune. La notorietà letteraria è morta.

Oggi come oggi, chi è veramente famoso lo deve in effetti al cinema. "Il cinema è la lingua franca del ventesimo secolo … Dove prima c’era la letteratura ora c’è il cinema", annunciò Vidal (3). In Occidente, anche da una superficiale osservazione della società e, in particolare, della sua componente giovanile, apparirà evidente che questa teoria ha un qualche fondamento (i registi Quentin Tarantino e Whit Stillman hanno rappresentato questa realtà di tutti i giorni in film recenti, mettendo in bocca ai vari personaggi citazioni e considerazioni prese dal mondo del cinema).

Credo perciò che sia arrivato il momento di cercare di capire se vi siano – e quali siano – i lati positivi di un mezzo di espressione per certi aspetti criticato, che tuttavia è diventato la forma di intrattenimento preferita da milioni di persone nei paesi anglofoni.
Anche se il cinema di Europa, Giappone, Cina e del sub-continente indiano mobilita anch’esso milioni e milioni di spettatori, in questo articolo vorrei occuparmi esclusivamente di Hollywood, sia per il gran numero di film commerciali qui prodotti e da qui distribuiti, sia per la posizione di primato che il cinema di Hollywood detiene sui mercati mondiali. E’ anzi opportuno ricordare che se Hollywood subodora la possibilità di un successo commerciale negli Usa per un qualche film straniero se ne "appropria". E’ quanto è accaduto di recente per alcuni film francesi e per il tedesco Sulle ali del desiderio (nonché per La vita è bella di Roberto Benigni, ndr). Anche le opere del compianto regista giapponese Akira Kurosawa hanno ispirato produzioni hollywoodiane come I magnifici sette e Leone man Standing (riadattato poi dal regista italiano Sergio Leone nel suo più noto Per un pugno di dollari).

Questo scambio oriente-occidente d’altra parte funziona anche in senso opposto – Kurosawa ha trasferito sullo schermo opere di Dostojevski e di Gorki, oltre che il Re Lear e il Macbeth di Shakespeare. Dal punto di vista finanziario, Hollywood considera le vendite all’estero solo una specie di ciliegina sulla torta. In ogni caso, i film di James Bond o quelli di Bruce Willis sono accolti con entusiasmo tanto a Bangkok o ad Ankara quanto a New York, Nashville e San Francisco.

Hollywood ha preso a piene mani anche dai fumetti e dai cartoni animati per i suoi film (Gli Antenati, Casper, Superman, Batman, Braccio di ferro, Dick Tracy, La famiglia Adams, Zorro e il giapponese Godzilla, tanto per fare qualche esempio). I personaggi dei cartoni animati sono famosi in tutto il mondo e il successo di questi film ‘derivati’ è praticamente garantito anche fuori dagli Usa.
Un’altra brillante idea di Hollywood (o ‘colpo basso’, a seconda dei punti di vista) è stata la trasposizione sul grande schermo di serial televisivi come l’onnipresente Star Trek, Il Fuggitivo, The Beverly Hillbillies, Mission Impossible e il più recente Lost in Space. Con La carica dei 101 Hollywood ha invece "copiato" se stesso, trasformando il celebre cartone animato di Walt Disney in un film convenzionale di pari successo con attori e cani veri.

La ricetta di Hollywood è sempre stata basata su una lavorazione di qualità e su una strategia di mercato a tutto campo, anche se per decenni il suo star system ha creato molti personaggi mitici, che il pubblico americano (e non solo quello) adorava e accorreva in massa a vedere nei loro film, belli o brutti che fossero. Molti dei responsabili delle case di produzione erano di origini europee e per loro non fu difficile capire che il pubblico americano aveva bisogno di una sua "aristocrazia”.

Ai funerali di Rodolfo Valentino, nel 1926, vi furono scene di isteria di massa e questo dimostrò quanto fosse reale questo fenomeno di idolatria.
Trent’anni dopo, nel 1956, l’interesse con cui i media americani seguirono il matrimonio da fiaba di Grace Kelly con il principe Ranieri di Monaco fece capire che il pubblico continuava ad essere ammaliato dal fascino scintillante di Hollywood.

E anche oggi è così. Fin dagli albori della storia di Hollywood, alcuni film avevano una tale presa sul pubblico che molti spettatori tornavano a vederli anche diverse volte, proprio come fa un bambino quando chiede alla mamma che gli legga sempre di nuovo la fiaba che già conosce. C’è qualcosa nella natura manipolativa e al tempo stesso insicura di personaggi come la Rossella O’Hara di Vivien Leigh in Via col vento (1939) o come quello interpretato da Orson Welles in Quarto Potere (1949) che sempre risuonerà nella coscienza occidentale. Le qualità umane, la bontà di George Bailey (interpretato da James Stewart) ne La vita è meravigliosa (1946) hanno avuto un impatto tale che il film, diretto dal regista di origine siciliana Frank Capra, nel Natale 1997 è stato riproposto nelle sale di tutto il mondo nella sua versione originale in bianco e nero. Casablanca (1943) è stato un tale cult movie fin dalla sua uscita che l’attore e regista americano Woody Allen ha dedicato un film sia all’opera sia al suo protagonista, Humphrey Bogart (Provaci ancora Sam), mentre gli esperimenti di Dorothy e dei suoi magici compagni d’avventura ne Il mago di Oz (1939) continuano ad ammaliare i bambini di oggi come facevano con quelli di ieri.

Chi scrive conosce due sorelle che, nei primi anni Novanta, quando avevano quattro e cinque anni, ogni volta che venivano in visita chiedevano di poter vedere la mia cassetta de Il mago di Oz. Per lo sceneggiatore una ‘gallina dalle uova d’oro’.
Che cosa è che assicura a un film un successo di cassetta? E’ ovvio che gli attori, il regista, la troupe, i produttori e gli addetti al marketing sono tutti di grande importanza. Ma se la sceneggiatura non funziona, se la storia non ha quel ‘qualcosa’, quel "gancio" che cattura lo spettatore, nemmeno i migliori attori, registi, tecnici delle luci e del suono, montatori né la migliore colonna sonora del mondo potranno soddisfarlo. Ebbe modo di riconoscerlo anche un celebre regista come il compianto David Lean [Breve incontro (1945), Il ponte sul fiume Kwai (1957), Lawrence d’Arabia (1962), Il dottor Zhivago (1965), etc.].

"In un film, lo sforzo maggiore dal punto di vista mentale e creativo è dato dalla sceneggiatura. Il suo autore non solo crea la storia ma trae dalla sua immaginazione esseri umani, dà loro parole da dire e pensieri da pensare. Sul set di un film, lo sceneggiatore è l’unico, vero ‘creativo’. Senza di lui gli attori non avrebbero una parte da recitare né battute da pronunciare; e i registi farebbero solo documentari, magari anche buoni ma comunque privi della forza, dell’umanità e del fascino di un’opera di arte drammatica" (4).

Se questo ‘qualcosa’ di indefinibile che dà alla trama di un film "la forza, l’umanità e il fascino di un’opera di arte drammatica" avesse potuto essere individuato e distillato Hollywood avrebbe messo le mani su una ‘gallina dalle uova d’oro’.

Ebbene tutto questo nel 1985 accadde. Christopher Vogler è un ‘lettore’ di sceneggiature che lavora presso diversi studios di Hollywood. In varie occasioni, gli sono state chieste ricerche sulle fiabe e le leggende di diverse culture. Ricorda di aver letto di tutto, dai poemi epici ai racconti mitici norvegesi e celtici, dai romanzi ai fumetti (5). Vogler ricercava e voleva capire quale fosse la "ricetta segreta" della buona sceneggiatura e un giorno gli capitò tra le mani lo studio di Joseph Campbell intitolato The Hero with a Thousand Faces (L’eroe dai mille volti) (6). La chiave era proprio qui. Campbell aveva fatto del mito il suo campo di ricerca e di esperienza e l’aveva investigato approfonditamente, includendo nei suoi studi le fiabe dei fratelli Grimm (7), le varie leggende sul Graal (8) e le opere del padre della psicologia analitica, C. G. Jung, secondo il quale "il Mito è più individuale e esprime la vita con più precisione della scienza" (9). Campbell capì che i simboli della mitologia non sono invenzioni casuali e che non sarebbe opportuno usarli nel modo sbagliato o ignorarli sistematicamente. Con rigore scientifico, Campbell mise a confronto centinaia di racconti e di leggende tribali prelevati dalle più svariate culture e dai periodi storici più diversi. Gradualmente, arrivò così a scoprire una sorta di trama-archetipo, un ‘monomito’ comune a tutte le storie; un Viaggio dell’Eroe in 19 tappe presenti, in parte o in toto, in ogni mito, anche se non necessariamente nella stessa sequenza. Divenne inoltre ovvio per Campbell che i miti e le leggende che aveva studiato rappresentassero qualcos’altro, qualcosa di più profondo. Scrisse: "Non è esagerato dire che il mito costituisce il passaggio segreto attraverso il quale le inesauribili energie del cosmo penetrano nelle forme della cultura dell’Uomo… Il Viaggio dell’eroe mitologico può avvenire anche materialmente ma questo aspetto è irrilevante. In realtà il Viaggio è fondamentalmente un evento interiore, un viaggio verso profondità in cui oscure resistenze vengono vinte e resuscitano poteri a lungo dimenticati per essere messi a disposizione della trasfigurazione del mondo… Il periglioso viaggio non ha per scopo la conquista ma la riconquista, non la scoperta ma la riscoperta. L’eroe è il simbolo di quell’immagine divina creativa e redentrice che è nascosta dentro ognuno di noi e che aspetta solo di essere trovata e riportata in vita" (10).

Nel Viaggio dell’Eroe scoperto da Campbell, Vogler capì di avere trovato "gli antichi strumenti dell’arte del narratore" e con essi l’ingrediente principale che sottende le sceneggiature dei film di successo prodotti a Hollywood. "Ho utilizzato le idee del Viaggio dell’Eroe di Campbell per cercare di capire il successo straordinario di film come Guerre stellari e Incontri ravvicinato del terzo tipo.
Il pubblico tornava a vederli più volte, come se fosse alla ricerca di una qualche esperienza religiosa. La mia impressione è che questi film attiravano la gente così tanto poiché contenevano gli elementi universali e appaganti che Campbell aveva scoperto nei miti. In quei film c’era qualcosa di cui la gente aveva bisogno" (11).
 (George Lucas, va sottolineato, ha studiato a fondo l’Eroe di Campbell prima di iniziare a scrivere la composita trama della prima trilogia di Guerre stellari (12) ).
"Le storie (contenute nell’Eroe) riflettono con grande precisione i meccanismi della mente umana, sono vere mappe della psiche. Sono valide sul piano psicologico e realistiche su quello emotivo anche quando parlano di eventi fantastici, impossibili o irreali", osservò successivamente Vogler con entusiasmo (13), "Il Viaggio dell’Eroe è estremamente duttile, capace di infinite variazioni senza per questo perdere la sua magia; per questo sopravviverà a noi tutti".

Entro il 1985 Vogler adattò e semplificò l’Eroe di Campbell per gli sceneggiatori. Le varie tappe vennero ridotte da 19 a 12 e descritte in un memorandum di sette pagine che immediatamente diventò lettura obbligata per i dirigenti del settore sviluppo della Walt Disney Corporation, dove Vogler lavorava ora nella divisione animazione (e dove successivamente contribuì all’impostazione e all’armonica stesura della trama di film come Aladino, La Bella e la Bestia e Il Re Leone). Ben presto, il lavoro di Vogler sulla ‘struttura del mito’ a Hollywood diventò di dominio pubblico e nel 1992 il memorandum venne da lui stesso ampliato in un libro dal titolo Il viaggio dello scrittore (The Writer’s Journey) (14), da allora divenuto lettura obbligata per ogni sceneggiatore alle prime armi. Esiste anche uno speciale programma per computer che, secondo i suoi ideatori, "tiene conto delle idee letterarie dell’approccio mitologico-popolare di Campbell all’arte di scrivere storie". (Negli ultimi anni della sua vita, Campbell – morto nel 1987 – fu molto festeggiato dall’industria cinematografica americana).

Il Viaggio dell’Eroe stile Hollywood Ecco le dodici tappe che Vogler ricavò dal Viaggio dell’Eroe per le sceneggiature cinematografiche.
1. Il Mondo Ordinario
2. L’Appello all’Avventura
3. Il Rifiuto dell’Appello
4. L’Incontro con il Maestro
5. L’Attraversamento della Prima Soglia
6. Prove, Alleati, Nemici
7. L’Avvicinamento alla Caverna più Segreta
8. La Prova Suprema
9. Il Premio
10. La Via del Ritorno
11. La Resurrezione
12. Il Ritorno con l’Elisir

Nella prima tappa, l’eroe – che può essere sia uomo sia donna – viene strappato alla sua vita di tutti i giorni e trasportato in un mondo speciale, nuovo ed estraneo.
L”Appello all’avventura’ serve a rivelare la posta in gioco e chiarisce qual è la meta dell’eroe. Questo appello potrebbe significare semplicemente che l’eroe non ha altre scelte, ma una volta che l’Appello è arrivato, l’eroe non può più vivere nel suo famigliare mondo ordinario. Il ‘Rifiuto dell’Appello’ rappresenta la comune debolezza umana e Vogler dice che gli eroi riluttanti devono essere chiamati più volte all’avventura – e quando non basta "incitati, blanditi, adulati, tentati o costretti" – se cercano di sottrarsi alla loro responsabilità. Il rifiuto è tuttavia comprensibile perché la persona si trova di fronte alla peggiore di tutte le paure, il terrore dell’ignoto. Ma insistere nel rifiuto può essere foriero di disastri e rendere prigionieri del passato o portare alla negazione della realtà.
Una volta risposto all’appello, l’eroe quasi sempre entrerà in contatto con una qualche fonte di saggezza o di aiuto prima di intraprendere l’avventura. Questa è la fase chiamata ‘L’Incontro con il Maestro’, che può essere un individuo ma anche un oggetto, un anelito irresistibile, un precetto o un motto che torna alla mente. La quinta tappa, ‘L’Attraversamento della Prima Soglia’, è l’atto di volontà con cui l’eroe si dedica all’impresa anima e corpo, confrontandosi con il problema e cominciando ad agire.
Questa fase richiede grande coraggio da parte dell’eroe. E’ un passaggio da cui non si torna indietro, il salto va fatto con fede, con la fiducia che in qualche modo si cadrà in piedi. E’ a questo punto che l’eroe incontrerà i primi ‘Guardiani della Soglia’, che a volte si presenteranno con un volto tutt’altro che rassicurante. Il loro compito principale è quello di mettere alla prova l’eroe. E lui potrà voltarsi e fare marcia indietro, passare all’attacco, agire d’astuzia o con l’inganno per evitarli, potrà cercare di corromperli, di placarli o di farseli alleati. Come facevano gli Indiani delle grandi praterie che, per avvicinarsi a una mandria di bisonti, si mimetizzavano sotto le pelli degli animali, il modo migliore per sottrarsi a loro è di ‘mettersi nei loro panni’, ma in senso più figurato che letterale.
A fungere da Guardiani possono essere inconsapevolmente anche le persone più care e i migliori amici dell’eroe e saranno loro a mettere alla prova la sua determinazione, soprattutto se sono riluttanti a vedere il suo cambiamento (in quanto potrebbe ripercuotersi sul loro senso di sicurezza).

Vogler spiega che, "a un livello psicologico più profondo, questi ‘Guardiani della Soglia’ rappresentano i nostri demoni interiori: le nevrosi, le cicatrici emotive, i vizi, le dipendenze e le auto-limitazioni che trattengono la nostra crescita e la nostra evoluzione" (p. 64). Vogler descrive anche altre figure archetipiche o maschere, che possono comparire lungo il Viaggio, archetipi quali Shapeshifter (il Trasformista), Herald (l’Araldo), Shadow (l’Ombra), Trickster (l’Imbroglione) e Ally (l’Alleato).

Anche l’eroe o il maestro possono assumere sembianze diverse in momenti diversi, così come in un film possono esservi svariati Viaggi dell’Eroe. Nel suo libro, Vogler prende come esempi film assai conosciuti per illustrare le tappe del Viaggio. Quando si trova nella sua nuova situazione, l’eroe deve imparare subito non solo a cavarsela ma anche a capire quali siano gli amici e quali i nemici. Nei film a questo punto compaiono spesso figure di Trasformisti e vi è l’incontro dell’eroe con la loro anima o con il loro animus, un individuo di sesso opposto su cui l’eroe potrebbe proiettare i propri bisogni o le proprie forze inconsce, rendendo pertanto questo individuo particolarmente attraente. A metà del Viaggio c’è la settima tappa, ‘Avvicinamento alla Caverna più Segreta’, in cui l’eroe può sostare per prepararsi, pianificare e riorganizzarsi prima di attraversare la seconda, importante soglia. I Guardiani della Soglia sono qui ancora più potenti, e dal momento che i più grossi pericoli e persino la morte sono in agguato l’eroe dovrà fare uno sforzo di volontà molto intenso per superare le sue resistenze e le sue paure. Nella ‘Prova Suprema’ l’eroe affronta la sua paura più grande e deve morire, o sembrerà morire, per poter rinascere e ritornare cambiato, trasformato. "In ogni storia, in un modo o nell’altro – scrive Vogler – gli ero affrontano la morte o un’esperienza equivalente: le loro paure più profonde, il fallimento di un’impresa, la fine di un rapporto, la morte di un tratto della sua vecchia personalità". Joseph Campbell disse che la Prova fa dell’eroe il campione non di cose avvenute ma di cose in divenire. "Il drago che l’eroe deve uccidere è proprio il mostro dello status quo: Holdfast, il custode del passato" (15).

Viene da pensare che non solo gli individui ma anche le istituzioni potrebbero trovarsi catapultate in un Viaggio dell’Eroe fatto di prove e di reale trasformazione interiore. Nella tappa numero nove, ‘Il Premio’, l’eroe prende possesso di quanto è venuto a cercare e a questo punto può anche sentirsi realizzato, rendendosi improvvisamente conto di quello che lui (o lei) è realmente, e magari di quanto in passato sia stato sciocco o ostinato. Ora l’eroe si prepara a tornare nel ‘Mondo Ordinario’ ma teme che la magia e la saggezza della Prova possano svanire nel nulla alla cruda luce della vita di tutti i giorni. L’eroe deve quindi sforzarsi di continuare a dedicarsi ad un continuo cambiamento interiore.

L’undicesima tappa, ‘La Resurrezione’, costituisce il culmine di ogni film: qui l’eroe deve dimostrare che la sua vecchia personalità è del tutto morta e che quella nuova è immune alle tentazioni e alle dipendenze di cui era prigioniero. La Resurrezione implica il sacrificio e Vogler sostiene che il sacrificio è il tratto distintivo dell’eroe, che è pronto a rinunciare a qualcosa a cui tiene per un ideale o per un gruppo. (Questo punto viene evidenziato per i bambini in Ercole, il recente film a cartoni animati della Walt Disney, anche se il lettore che conosce bene la leggenda potrà disperarsi per le omissioni e gli ‘abbellimenti’ del film).

La conseguente trasformazione fa sì che quanto c’era di buono nel ‘vecchio’ sia amalgamato con la lezione imparata nel Viaggio. E’ possibile tuttavia che l’eroe ricada più volte nell’errore prima della vittoria finale e dell’epilogo, l’ultima tappa del Viaggio chiamata ‘Il Ritorno con l’Elisir’. Scrive Vogler: "Sta ad ognuno di noi stabilire che cosa sia l’Elisir – saggezza, esperienza, denaro, amore, fama o l’eccitante avventura di tutta una vita.

Ma una buona storia, così come un buon viaggio, ci lasciano con un Elisir che ci trasforma, che ci rende più consapevoli, più vivi, più umani, più integri, insomma più parte di un insieme. Il cerchio del Viaggio dell’Eroe è completo". E se l’Eroe fallisce? In questo caso deve ripetere tutte le prove fino a quando non avrà imparato la lezione o riportato a casa l’Elisir da condividere con gli altri. Il film Guerre Stellari è un esempio perfetto delle varie fasi in cui il Viaggio dell’Eroe è suddiviso. Passo dopo passo, Luke Skywalker segue lo schema-archetipo: incontra il suo maestro, il cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi, e penetra nella ‘caverna segreta’ della ‘Deathstar’, la nave spaziale dell’Impero, travestendosi con la divisa dei ‘Guardiani della Soglia’, i pretoriani dell’Impero. Dopo avere trovato la principessa Leila, ‘muore’ trascinato sott’acqua da un trita-immondizie e al pubblico viene fatto credere che sia morto. Invece improvvisamente ‘risorge’ e così inizia la fase del ‘Ritorno’, in cui Luke assiste al sacrificio del suo maestro, che sacrifica la vita per permettere a Luke e ai suoi compagni di salvarsi. Uno degli ‘Elisir’ con cui Luke e i suoi alleati ritornano sono i piani di battaglia della ‘Deathstar’. Nel finale, Luke riesce a distruggere la nave spaziale grazie all”Elisir’ che ha personalmente riportato dal Viaggio, la sapienza del cavaliere Jedi e la capacità di usare la ‘Forza a fin di bene.

Ci sono molti ‘Viaggi dell’Eroe’ che si intrecciano nella trilogia di Guerre Stellari, cui dovrebbero andare ad aggiungersi altri tre film. (Tale è la validità dell’impostazione morale di Guerre Stellari che nel Somerset, una contea dell’Inghilterra, i film vengono proiettati agli alunni delle scuole secondarie come parte del programma di educazione religiosa). Ma qualsiasi film che lasci lo spettatore con un senso di completezza e di soddisfazione ha a che fare con il Viaggio dell’Eroe. Alcuni potrebbero riconoscere un cammino di iniziazione nel Viaggio dell’Eroe. A questo proposito è interessante ricordare che tra le 19 tappe previste da Campbell ve ne sono due intitolate "Ingresso nel Ventre della Balena" (che segue "L’Attraversamento della Prima Soglia") e "Apoteosi" (cioè deificazione o sviluppo supremo), che sono parte di quella fase conclusiva che Vogler ha condensato nella "Prova Suprema". In precedenza questo era stato indicato da Rudolf Steiner quando, nel 1908, aveva svelato che i grandi miti popolari sulle divinità sono rappresentazioni dell’iniziazione a livello astrale e ai livelli superiori (16).

E’ innegabile inoltre che il Viaggio dell’Eroe abbia molti punti in comune con la fiaba tradizionale di matrice europea, come appare evidente se la struttura elaborata da Vogler (17) viene messa a confronto con quella delle favole dei fratelli Grimm, così come viene delineata da Jack Zipes, loro biografo, traduttore e studioso. Ispiratosi per il suo libro a un approfondito studio della struttura delle novelle popolari (vedi nota n. 14) Vogler fa un altro parallelo: "La soluzione più convenzionale per concludere una storia, quella di gran lunga più utilizzata nella cultura occidentale, e nei film americani in particolare, è la ‘forma circolare’, in cui vi è un senso di chiusura e di completezza… Il lieto fine di tanti film di Hollywood li mette in relazione con il mondo delle fiabe, che sovente hanno come tema il raggiungimento della perfezione. Le fiabe terminano spesso con un’affermazione di perfezione come ‘…e vissero per sempre felici e contenti’" (18).

L’uomo ‘triarticolato’ nello stile di Hollywood Se consideriamo attentamente i film di Hollywood, sarà sempre più evidente che il Viaggio dell’Eroe sottende alla trama di pellicole che riscuotono un grosso successo di pubblico (a volte anche inaspettatamente) (19).
Ma questo non vuol dire che tale formula sia infallibile; l’abilità e la creatività di quanti lavorano alla trasposizione sullo schermo di una determinata storia possono fare la differenza tra un film che va bene e uno che non incassa. ‘Fiaschi’ come I cancelli del cielo e Waterworld dimostrano come un’idea buona a prima vista possa poi andare perduta tra la prima bozza di sceneggiatura e il prodotto finito che arriva nei cinema.

Un film con un’ottima sceneggiatura e gli ‘ingredienti mitici’ al posto giusto può rivelarsi un fallimento commerciale mentre altri con una sceneggiatura imperfetta possono andare benissimo. In questo c’entrano sia il modo in cui il regista traduce la sceneggiatura in immagini, sia il ‘tono’ del prodotto finito, il modo cioè in cui il film viene porto al pubblico. Dal momento che ingenti capitali sono in gioco in ogni film, i produttori di Hollywood hanno cercato il modo di definire scientificamente i gusti del pubblico e, a questo proposito, hanno sviluppato una propria versione dell’essere umano triarticolato in modo da decidere su cosa puntare. Perciò la presentazione è quasi tanto importante quanto la struttura e la trama e prima di dare inizio alla lavorazione i registi di Hollywood tengono seriamente conto di questo ‘spettatore triarticolato’. Il regista Jon Boorstin parla di tre tipi di reazione, le cosiddette tre ‘v’ – ‘voyeur’, ‘vicaria’ e ‘viscerale’ -, nello spettatore che va al cinema (20).

La prima, la reazione del voyeur, è basata sul pensare dello spettatore, dal modo in cui la sua logica e il suo senso di realismo si applicano a quanto viene proposto sullo schermo. Se lo spettatore comincia a pensare "questo è irrealistico" o "una cosa del genere non può accadere" allora è perduto per il film: a quel punto non rinuncia più a quella sospensione del giudizio su cui i produttori facevano affidamento. Le cause possono essere molte: cattiva scelta degli attori, errori storici, pessima cura dei particolari.

Trovate stravaganti o irrealistiche come quelle che vediamo per esempio nei film di James Bond, nella serie di Indiana Jones o in Trappola di cristallo vengono accettate senza problemi in quanto anche i personaggi sullo schermo hanno verso di esse lo stesso atteggiamento meravigliato che sta sentendo il pubblico. Il sentire si ricollega ad una seconda reazione, chiamata vicaria, una reazione animica centrata sull’identificazione emotiva dello spettatore con uno dei protagonisti. Boorstin sostiene che il pubblico vuole identificarsi con uno dei personaggi della vicenda e lo farà se il regista e il montatore non commettono errori.

Gli spettatori desiderano sperimentare immaginativamente quanto accade sullo schermo, e per farlo si metteranno in sintonia con il quadro di riferimento del protagonista. Il regista Alfred Hitchcock lo sapeva bene e se ne serviva e, in un modo del tutto suo, fu in grado di manipolare il pubblico dei suoi tempi portandolo ad un sentimento di empatia, se non di immedesimazione, con Norman Bates, lo squilibrato di Psycho, dopo questi ha ucciso la protagonista femminile a metà film. Ma lo spettatore può anche allontanarsi se il personaggio sullo schermo fa qualcosa che egli sente come non convincente. Il lato ‘vicario’ dello spettatore, che vuole perdersi nella storia, perde invece il suo legame immaginativo con la storia.
Le aspettative emozionali sono deluse e così si trasformano in una sorta di ostilità. Sulla tendenza ‘vicaria’ del pubblico hanno fatto molto affidamento thriller come Air Force One, Face Off, Allarme Rosso, Seven e L’Ombra del Diavolo.

Lo stesso vale per film di buoni sentimenti come Forrest Gump, Insonnia d’amore, Ghost, I ponti di Madison County, Il paziente inglese e L’uomo che sussurrava ai cavalli. Rientrano in questa categoria anche film di produzione inglese come Quattro matrimoni e un funerale e The Full Monty. Il terzo tipo di reazione individuata dai produttori è quella viscerale, quella cioè che si collega a quelle reazioni più centrate sul corpo provocate da film che hanno come ingredienti ‘horror’, azione, sesso e disastri naturali in varie combinazioni. (Il termine ‘viscerale’ si riferisce appunto ai nostri organi interni, e in particolare a quelli dell’addome).

Per decenni, i film dell’orrore sono stati quelli che hanno provocato le emozioni più viscerali nello spettatore fino a quando scene sorprendenti ma realistiche di film come Lo squalo o Alien ci hanno fatto letteralmente saltare sulla sedia in un modo del tutto nuovo. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie computerizzate hanno portato ad un insieme inscindibile di voyeuristico e di estremamente viscerale (mettendo gradualmente da parte la reazione vicaria?), come dimostrano ad esempio la raccapricciante carneficina iniziale di Salvate il soldato Ryan (21) o film come Terminator 2, Twister, Men in Black, Il quinto elemento e i due Jurassic Park (fino alla realizzazione di Titanic detenevano il record assoluto degli incassi ma è in arrivo il terzo film della serie di Jurassic Park). Ma la storia d’amore di Titanic, il contesto tecnicamente perfetto della ricostruzione della sfortunata nave, la cornice storica e le scene dell’affondamento (quasi interamente realizzate al computer) hanno dimostrato ai produttori di Hollywood che oggi un film non deve fare affidamento solo su ingredienti viscerali per soddisfare il pubblico: la gente infatti è tornata più volte a vedere Titanic, come ormai non faceva più dai tempi di Guerre stellari e di ET.

Le commedie, sia detto per inciso, spaziano tra queste tre reazioni. Sono sempre state il piatto forte di Hollywood e, per i migliori interpreti, garantiscono lavoro non stop. Star di oggi come Eddie Murphy, Robin Williams, Danny De Vito, Whoopi Goldberg, Steve Martin, Jim Carrey e Cameron Diaz seguono una tradizione tracciata da grandi comici del passato come Charlie Chaplin, Buster Keaton e Stanlio e Ollio. Il mito oggi per i ‘maghi’ del mercato. Rudolf Steiner sottolineò l’importanza dei miti e delle leggende nella pedagogia, e nelle scuole che si basano sulle sue intuizioni pedagogiche l’evoluzione del bambino dalla nascita all’età adulta è considerata un riflesso dell’evoluzione della coscienza umana.

Di classe in classe, il bambino ascolta e lavora con miti e leggende che sono giunte fino a noi dalle diverse grandi civiltà. "Bisogna sempre ricorrere alle leggende per comprendere le tappe significative dell’evoluzione – diceva Rudolf Steiner – le verità che contengono sono più profonde di quelle che ci sono state trasmesse dalla storia" (22).

Ma dal momento che gran parte dei bambini del mondo occidentale non frequentano scuole Waldorf, bisogna riconoscere che c’è un aspetto positivo nel fatto che Hollywood abbia fatto propria l’idea del Viaggio dell’Eroe che Joseph Campbell ha ricavato dai miti e dalle leggende dell’umanità di vari luoghi e di varie epoche.

Dovremmo rallegrarci del fatto che tra i film che gli adolescenti e i giovani si recano in massa a vedere come forma di intrattenimento preferita (in Occidente, la maggioranza degli spettatori dei cinema sono o teenagers o tra i 20 e i 30 anni) ve ne sono molti che contengono le eterne strutture mitiche e che per questo generano q