Trent’anni fa, nel 1972, pochi giorni prima di Natale moriva Lavinia Mondolfo Sacerdote.
Aveva cento anni, li aveva compiuti poco prima, il 27 agosto il cognome Mondolfo richiama alla memoria suo marito, l’onorevole Ugo Guido, noto esponente del partito socialista fin dai primi anni del novecento e direttore della rivista “Cri1ica sociale”.
Con lui, che aveva sposato nel 1909, la signora Lavinia ha condiviso l’attività politica e poi la lotta antifascista e i duri anni delle persecuzioni politiche e razziali. Lei stessa però stata uno straordinario personaggio ed è giusto e opportuno, oltre che doveroso, ricordarla oggi.
Basti dire che si laureò in lettere in tempi in cui 1’università era di difficile accesso alle donne, che viaggiò per l’Italia svolgendo la sua professione di insegnante in varie sedi, che concluse la sua carriera come docente presso l’Accademia di Brera, dopo aver insegnato all’Istituto magistrale “Carlo Tenca” dove venivano formate le maestre elementari che ricevevano, al termine del corso, la “patente” come si diceva allora. Nel primo dopoguerra si era inoltre occupata attivamente del reinserimento dei reduci e dei ciechi di guerra.
Negli anni della maturità aveva coltivato, tra i suoi tanti interessi, anche l’Antroposofia di Rudolf Steiner, appassionandosi in particolare ai temi pedagogici e artistici. Insieme alla poetessa Lina Schwarz e ad altre personalità del mondo culturale milanese, sognava di concretare questi studi creando una scuola dove applicare il metodo steineriano.
I fervidi anni del secondo dopoguerra, che a Milano favorirono il nascere, e rinascere, di tante iniziative in campo socio-culturale (vedi l’Umanitaria di Riccardo Bauer e il “Villaggio della madre e del fanciullo” di Elda Scarsella che fu accolto in ampi e confortevoli prefabbricati installati nel giardino di Palazzo Sormani) diedero a Lavinia Mondolfo l’impulso per realizzare il suo progetto. Forte dell’appoggio del sindaco di allora, l’avvocato Antonio Greppi, si fece assegnare la palazzina che sorge tutt’ora nel giardino della Guastalla e, con un gruppo di insegnanti pioniere, creò una piccola scuola/pilota, vero modello pedagogico innovativo ai cui principi hanno poi attinto anche i programmi della scuola di stato.
Del back-ground culturale antroposofico ha saputo cogliere l’aspetto più peculiare, quel carattere, cioè, universale dei principi enunciati dallo Steiner che rendono questo metodo educativo adattabile alle varie realtà locali. La pedagogia steineriana elaborata in quasi vent’anni di attività nella scuola di via Francesco Sforza sotto la Guida di Lavinia Mondolfo e del suo team, si è integrata e arricchita nella cultura italiana e ha creato le basi per lo sviluppo successivo delle numerose scuole steineriane sorte in Italia.
All’età in cui in genere gli insegnanti vanno in pensione, Lavinia Mondolfo ha iniziato una nuova, feconda, difficile attività in cui ha riversato fino all’ultimo giorno di vita le doti eccezionali del suo carattere, della sua intelligenza e saggezza, il suo senso civico e sociale, il suo rispetto per la democrazia e le istituzioni.
I bambini di allora hanno oggi quaranta, cinquant’anni, ma certo non hanno dimenticato la piccola, elegante, gentile direttrice che li conosceva ad uno ad uno, li consolava con una caramella, li ammoniva con fermezza quando era necessario, donava loro un libro alla fine del ciclo elementare e li sapeva giudicare con acume, equità ed imparzialità nei brevi profili che usava aggiungere di suo pugno alla pagella redatta dalla maestra di classe. Non l’hanno certo dimenticata neppure i genitori che da lei hanno ricevuto più di una lezione della difficile arte di educare.
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