Autore: Claudio Gregorat
Scritti di Claudio Gregorat

Il significato della “confessione”

Per l’uomo occidentale individualizzato, capace di giudizio autonomo e libero, la “confessione” – quale sacramento – dopo le bufere socialiste, comuniste, fasciste ecc. non può entrare nel numero delle pratiche accettabili.
    L’espressione più comune suona: “perché mai devo andare a raccontare ad un altro le mie vicende private? me le gestisco da solo”. E’ senza alcun dubbio un’affermazione abbastanza
presuntuosa e orgogliosa, nella convinzione di essere una persona al di sopra di un possibile giu
dizio oggettivo sul suo operare. Questo da un lato.
    Dall’altro,opera senza dubbio l’impulso a svincolarsi dalla suggestione della chiesa cattoli
ca e le sue forme di culto, che per troppi secoli hanno tenuto in pugno le anime umane. Difatti il confessore diventa presto il “direttore spirituale” il quale, dirige, secondo le proprie convinzioni, i pensieri, sentimenti ed azioni del fedele. Questo dunque rimarrà sempre soggetto al suo direttore, così come il discepolo esoterico orientale rimane, per tutta la vita, soggetto al suo guru. Ma così l”anima di coscienza” non si forma. E difatti la chiesa è un ostacolo fortissimo al formarsi di questo necessario organo animico dell’uomo. Le pratiche di culto – fra le quali la confessione – sono difatti una diretta filiazione delle facoltà e necessità dell”anima intellettiva-affettiva”: ritorniamo indietro – o rimaniamo indietro – di secoli: il tempo interiore si è fermato.
    E l’evoluzione dell’uomo?
    Ma soprattutto oggi non è accettabile la connotazione “morale del peccato” – veniale o mortale – secondo un codice stabilito dalla chiesa stessa. Non è più un “altro”, chiunque esso sia, a decidere sull’interiorità di qualcuno, ma ogni uomo autocosciente lo può e dovrebbe farlo in prima persona, assumendone tutte le responsabilità del caso.  Il valore della confessione però non sta in questo, ma nel supremo sforzo di cancellare la propria egoità luciferica primordiale e, con la più grande umiltà e modestia, raccontare ad un altro la propria vita: non è cosa da poco. Una persona orgogliosa che vive nell’esaltazione del proprio Io psicologico, non accetterà mai una simile pratica. E invece si tratta proprio di questo: cancellare l’io empirico, psicologico e le sue innumeri passioni, per poter accedere all’Io superiore reale, rimettendosi nelle mani di un altro, in questo caso un sacerdote oppure una persona di estrema fiducia verso la quale si nutre vera devozione. Proprio per l’orgoglioso irriducibile, sarebbe la vera terapia equilibratrice.
    Nel I° dramma-mistero “La porta dell’iniziazione” di Rudolf Steiner – III° quadro, si ponno incontrare le seguenti parole rivolte a Maria da Benedetto:
        “Entro te, lo spirito  agisce in tutto ciò
        che produce frutti nell’essere umano
        per la sfera dell’eternità.
        Esso perciò deve uccidere
        molto di ciò che suole appartenere
        al regno di esistenza dentro il tempo.
        Ma i suoi sacrifici di morte
        Sono i germogli di immortalità.
        Ciò che fiorisce dal morire inferiore
        Deve crescere alla vita più alta”
Negli ordini religiosi la confessione assumeva sempre questa connotazione, onde cancellare l’orgoglio, la superbia, la presunzione, la vanità, l’amor proprio e, con altre parole l’egoismo, per potersi accostare a Dio o, con termini moderni, al mondo dello spirito.
Nel Vangelo viene accennato a questa condizione con le parole:
“Poiché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; e chi perderà la propria vita, per causa mia, la troverà” : dove per “vita” si intende il proprio Io psicologico-empirico-abitudinario da perdere, per trovare l”Io superiore-reale” su di un piano superiore, alle parole “per causa mia”.’
    La confessione ha un valore primario nella vita di un uomo. L’anima umana – ha detto qualcuno – è una specie di santuario, o, se vogliamo, una lunga galleria il cui fondo, buio, è inaccessibile e invisibile. Lungo le pareti, quadri appesi, che sono immagini di vicende attraversate; oppure armadi chiusi o sigillati, con dentro i cimeli, le “reliquie” di persone o fatti vissuti.
    Ora tutte queste forme sono mummificate entro l’anima e sono un grande impedimento per una vita sciolta, leggera e libera: determinano il presente come hanno determinato il passato prossimo e quello remoto. La reliquia, il cimelio, si sa, sono una superstizione, da cui sarebbe bene liberarsene, se si vuol vivere in armonia con sé stessi e senza pesi occulti. Che questi abbiano un peso determinante, è del tutto evidente nelle forme patologiche. Quanti mai ingorghi animici insorgono per traumi psicologici vissuti in tempi precedenti. E’ necessario rimuoverli ed è quanto fa la psicologia ben intesa, sia nelle forme individuali che nelle terapie di gruppo: si tratta sempre di una “liberazione”.
Per l’individuo autonomo, l’armadio viene aperto, il cimelio estratto e guardato con piena coscienza, cosa importantissima: mentre prima sonnecchiava minaccioso nel subconscio. Il peri-
colo sta proprio in questo: il dormire dinanzi ai propri demoni interiori, siamo essi assopiti nel tempo, o tutt’ora attivi e minacciosi.
    Si potrebbe obiettare che una simile operazione è alla portata di tutti e che non è necessario “raccontarla” a qualcun altro. Certo, ma la connotazione morale per il superamento dell’orgoglio, vanità ecc. viene meno, mentre è il fattore più importante. E questa posizione – che è chiaramente frutto di orgoglio – è semplicemente illusoria, poiché l’uomo è sempre portato, anche nella massima serietà dell’indagine, a giustificare, scusare e vedere il lato più conveniente per sé, delle vicende in esame: dal subconscio emergono forze incontrollate, che non si riconoscono e determinano il giudizio totale. Quindi è veramente illusorio credere una cosa simile.
Che poi la situazione interiore presente – frutto del passato – consenta una revisione di esso ed un’azione diciamo equilibratrice nei suoi confronti, non elimina il fatto che “quella” vicenda c’è stata e vissuta in un “determinato modo”, che oggi, forse, si giudica immaturo.
    Rudolf Steiner consiglia, per tacitare i propri demoni interiori, di tradurli in immagine pittorica o plastica e porli dinanzi a sé: quindi  “tirarli fuori”, “oggettivarli” in immagine. Questa operazione consente di prenderne coscienza e, con la  luce del pensare cosciente, metamorfosar
li in immagini positive: trasformarli in potenze buone. Si tratta di operare con la “sostituzione di immagini”. A lungo andare, giorno dopo giorno, il processo opera nell’interiorità, liberando l’anima dalla presa nefasta dei demoni negativi.
I pensieri, sentimenti ed azioni degli uomini permangono incisi nella “Cronaca dell’Akasha” in ogni caso: e solo dopo la morte, con un atto di revisione a ritroso della propria vita, potranno essere svuotati gli armadi. Il che significa anche che si imposta la vita successiva proprio in relazione ai loro contenuti. Qui sulla terra, per la persona di buona volontà che voglia progredire moralmente e “abbassare le ali troppo tese” della propria egoità, è consentito solo alleggerirsi del peso delle mummie interiori e delle reliquie, ma non cancellarle: come l’assoluzione che il sacerdote conferisce, non cancella  la colpa.
    Ma le reliquie dei santi e beati, si venerano: condizione assurdamente “materialistica” della chiesa. Venerare dei resti di ossa, di legno, di stoffa o altro ! veramente assurda ! In ultima analisi si tratta proprio di “idolatria” !
    Ma forse, è lecito chiedersi, colui che non vuole rinunciare alle sue reliquie, che non vuole aprire gli armadi con un superamento dell’orgoglio, per un’umiltà benedicente e mite, che però gli consente di guardare la “realtà” di sé medesimo, non è forse parallela a quella del fede-
le che venera le sua reliquia ? l’orgoglio non nasconde, nei profondi recessi dell’anima, una tale
venerazione, anche se – e soprattutto – non riconosciuta?
    Vi è però una possibilità nuova: il confessore, chiamiamolo così, la persona di fiducia, non è lì per emettere un giudizio, tutt’altro, ma soltanto come “orecchio di un’anima” che ascolta con tutta la partecipazione e amore possibili, e che, in più “condivide” l’esperienza e “la porta” insieme a colui che la racconta. Solo in questo caso, il racconto, la “confessione”, ha un reale valore: cosa che non accade col confessore e tantomeno con lo psicologo.
    A nessuno è consentito emettere un giudizio sulle vicende interiori di un altro. Posto poi che un tale giudizio abbia determinate connotazioni: che cioè sia valido dalla prospettiva logica, estetico-artistica e morale: a nessuno è consentito. Solo alle “Intelligenze celesti” lo sarà: ma sarà un giudizio di estrema oggettività, equità e giustizia, che un uomo non potrà mai raggiungere. L’iconografia cristiana presenta l’Arcangelo Michele – un’Intelligenza Celeste quindi – con in mano la bilancia con la quale “pesa” le anime.
     L’interiorità di un altro può, in ogni caso, venire solo ascoltata, condivisa, sofferta o gioita “insieme”, con la massima partecipazione.
    Il valore di una simile azione appare presto di altissimo livello morale e quindi quasi uto-
pistica: purtuttavia possibile per anime elette.
    E’ il senso della confessione.
La persona moderna non vorrà ricorrere a questa, come per una sorta di pudore interiore. Però frequenta lo psicologo, al quale – come in sogno – racconta e rivela il contenuto degli armadi altrimenti chiusi. Ma lo psicologo non ha il valore morale e serietà di un sacerdote. Difatti egli è, di solito, scettico sulle questioni della psiche, alla quale crede come ad una sorta di “secrezione” del corpo. Ora, la seduta dallo psicologo non è forse una confessione?
    Nei partiti comunisti era in voga l”autocritic” – come costrizione politica – che aveva valore di confessione, per quanto sicuramente falsata, in quanto senza alcuna sostanziale motivazione morale, ma solo di opportunismo  politico.
    L’antica confessione potrebbe essere sostituita da altra pratica? Le mummie interiori possono, in qualche modo, venire incenerite e cancellate?
    Lo possono solo per mezzo di un libero, estetico e morale riconoscimento di esse in piena coscienza e consapevolezza: sapendo, al contempo, che dovranno venire pareggiate in ogni caso. La luce della coscienza dell’Io getta così una luce sulle vicende interiori congelate nell’anima e che forse non si vogliono considerare perché passate e dimenticate. Ma lo possono solo se “oggettivate”; che senza un aiuto esterno è molto difficile raggiungere.
    Sappiamo che tutto dovrebbe rimane nel ricordo legato all’Io, quindi ricordo eterno. Nell’Io deve permanere ogni esperienza vissuta. Il passato deve essere sempre presente, ma non fossilizzato o imbalsamato e che si esprime nei modi acquisiti e nelle abitudini.
    Per concludere, si possono meditare le seguenti parole di Novalis tolte dal suo “Enrico di Hofterdingen”:
“…..I molti ricordi sono una compagnia piacevole e tanto più, in quanto è mutato l’occhio interiore con cui li osserviamo, e che ora, per la prima volta, ci rivela il loro vero nesso, il senso profondo del loro corso e il significato delle loro apparizioni Il sentimento delle proprie vicende umane si sviluppa solo tardi e meglio sotto la tranquilla influenza del ricordo che non sotto le violente impressioni del presente. I fatti più prossimi appaiono solo debolmente incatenati, in realtà in maniera tanto più portentosa, quanto simpatizzano coi più discosti. E unicamente quando si sia in grado di abbracciarne con lo sguardo una lunga serie e di non prendere tutto alla lettera(……..) si rivela il segreto legame che unisca il passato al futuro e si impara a far la storia con la speranza e col ricordo. Tuttavia, solo a quegli cui tutto il passato è ancora presente, può venir fatto di scoprire la semplice regola della storia……….”
Questa citazione è intesa nel senso che i ricordi devono permanere nell’IO per il proprio futuro cosmico. Ma liberi e trasparenti, senza connotazioni sentimentali e men che meno passionali: trasformati, quintessenziati, resi “pura spiritualità” che così l’IO potrà portare con sé per l’eternità.
E presenti come le gocce di diamante della fulgida corona che l’anima libera ed eletta porta in capo.