Stiamo segando il ramo su cui siamo seduti!
Una crisi di sopravvivenza delle api, progressiva, sempre più grave e preoccupante, si è manifestata dall’inizio del nuovo secolo nei vari continenti.
La crisi ha provocato una conseguente e impressionante riduzione delle capacità produttive degli allevamenti apistici. Pur avendo carattere pressoché globale, pertanto tale da segnalare il raggiungimento di un probabile punto limite nella capacità dei vari ecosistemi di sopportare lo sviluppo delle attività umane, essa si è manifestata, nei vari paesi, con caratteri di specificità strettamente correlate alle varie tipologie di apicoltura praticate e ai diversi stadi di degrado degli ecosistemi nelle quali esse insistono.
Per tutte ha fatto testo, balzando agli onori delle cronache mondiali, il fenomeno registratosi lo scorso anno negli USA dove il già esiguo patrimonio apistico nazionale (2,5 milioni di alveari contro gli oltre 15 milioni della U.e.) è stato drasticamente decurtato dal collasso di centinaia di migliaia di famiglie di api. In altre parti del mondo analoghe gravissime crisi degli allevamenti non hanno particolarmente attratto l’attenzione dei media, ma, non per questo, si sono dispiegate con effetti meno nefasti!
Vale ricordare, a titolo d’esempio, sempre nel 2007, la perdita in Argentina di oltre 1.450.000 alveari (un terzo degli allevamenti nazionali!) o, dal 2000 ad oggi, la sparizione dal 30 al 50% degli alveari nelle varie regioni d’Europa.
Le sporadiche manifestazioni di interesse e preoccupazione nei media (allarmi, peraltro, raramente condivisi dalle istituzioni politiche e amministrative) sono state generalmente provocate non tanto dalle implicazioni d’insieme conseguenti al fenomeno delle morie di api quanto, piuttosto, dal rischio immediato di forti diminuzioni nelle rese delle diverse colture per le quali il “servizio di impollinazione” delle api è, oramai, fattore agronomico indispensabile. Anche per questo fa da caposcuola la sparizione degli alveari negli USA, dove ciò che ha caratterizzato molti titoli di giornale è stata la mancata produzione dei 242.000 ettari di mandorleti della sola California, per i quali, dato il deserto entomologico provocato dall’uso dissennato di insetticidi proprio di quell’agricoltura estensiva, l’azione impollinatrice delle api è ancor più indispensabile.
Se ben rari sono stati coloro che hanno colto l’allarme ecologico costituito dal collasso degli alveari, tante sono state le letture fantasiose del fenomeno, e tali da depistare l’attenzione dell’opinione pubblica, valga per tutte la teoria dell’influenza negativa delle onde elettromagnetiche sugli allevamenti apistici, teoria priva, allo stato attuale delle conoscenze, di fondamento e riscontri. Il fenomeno del collasso degli alveari ha origine e denuncia gravissimi squilibri ambientali che impongono la necessità di uno sforzo di analisi mirato a leggere gli accadimenti nella loro specifica complessità e variabilità.
Analisi che deve evitare ogni possibile tendenza al catastrofismo e alla genericità e sia capace di individuare con chiarezza i diversi agenti che sono all’origine delle morie nei diversi ambienti e territori, per contribuire alla condivisione di una precisa graduatoria di priorità nelle scelte e risposte che è necessario e possibile attivare nel tentativo di arginarlo. A tal fine e in primo luogo crediamo si debba e possa convenire su un primo punto fermo.
La mortalità e gli spopolamenti non hanno carattere univoco I differenti fenomeni di spopolamento e moria pur manifestando alcuni elementi comuni, non consentono in alcun modo d’ipotizzare che si sia verificata una completa identità globale sia riguardo alle problematiche di sopravvivenza e sviluppo delle api, sia in riferimento alle varie cause di stress o di mortalità.
Per quanto possano essere limitati e frammentari gli elementi di conoscenza sulle diverse evidenze di campo, possiamo affermare che nelle varie aree geografiche si sono manifestati fenomeni con specifiche caratteristiche. Ad esempio, vale la pena di sottolineare proprio alcuni aspetti assolutamente inconsueti e specifici del Colony Collapse Disorder -CCD- americano quali la non attrattività, se non addirittura repulsività, per le api dei favi abbandonati dalle colonie scomparse.
Questo elemento è, per quanto si sa, specifico della sindrome americana né è stato mai osservato in Europa con dimensioni analoghe. La stessa codificazione (CCD), definita dalla ricerca americana per analizzare il fenomeno delle morie negli U.S.A., per quanto suggestiva e di sicuro effetto comunicativo, non può ricomprendere tutte le morie e le difficoltà riscontrate dagli allevamenti apistici del mondo.
Diversi sono i contesti agricolo/botanico/ambientali, diverse le metodologie dell’allevamento apistico, diverse le modalità produttive, e diversi i fenomeni riscontrati. La superficialità e/o la tendenza a incorrere in facili e ingiustificabili generalizzazioni che si riscontrano nella notevole letteratura, che si è sviluppata attorno al fenomeno della moria delle api, abbiamo ragione di ritenere siano dovute a cause e motivazioni ben identificabili. Assai vari…se non opposti sono gli interessi in campo
Ci pare opportuno sottolineare come, quando ci si trova di fronte a segnali di manifesto squilibrio ambientale derivato da attività produttive e/o economiche, spesso i contributi di analisi, anche quelli di carattere scientifico, non sono neutri. Possenti cortine fumogene vengono sollevate, a volte si propongono ipotesi che hanno un vero e proprio carattere di mistificazione o depistaggio. V
alga per tutte la vicenda dell’uso civile e industriale dell’amianto e del tempo infinito e dei lutti che sono stati necessari per passare dalla certezza scientifica degli effetti cancerogeni dovuti all’uso del minerale alla sua messa a bando. Senza voler fare facili e superficiali parallelismi, anche nel caso della crisi mondiale dell’apicoltura sono individuabili e spiegabili sia i limiti dei diversi soggetti e istituzioni implicati e sia le strategie comunicazionali messe in atto da chi “costi quel che costi”difende forti e privati interessi economici. Insetticidi neurotossici per istituzioni e ricerca scientifica: non vi sono certezze…bisogna approfondire gli studi.
Da anni nel nostro paese e in Europa gli apicoltori hanno lanciato un pressante allarme sull’utilizzo di nuovi principi attivi e dei nuovi formulati in agricoltura. Tale allarme, se si eccettua in parte quanto è avvenuto in Francia, resta pressoché inascoltato.
L’atteggiamento di gran parte del mondo istituzionale e, purtroppo, anche di parte di quello della ricerca, trovano un elemento comune nella difficoltà a voler prendere atto delle evidenze di campo: ciò che non è certificato da uno “scienziato”, da una procedura ufficiale, da un ricercatore, da un pubblico ufficiale o, quantomeno, da un media non esiste o non si è verificato!
Quand’anche poi i fatti sono assolutamente evidenti e, pure, “ufficialmente” e adeguatamente documentati (vedi morie d’api in Piemonte per Actara, o rinvenimento di neonicotinoidi in campioni d’api morte in periodo di semine del mais in Lombardia)…gli elementi di conoscenza sono sempre insufficienti o si può…impunemente ignorare ciò che avviene in campo! Per una parte dell’ambito politico-amministrativo tale atteggiamento è, purtroppo, interpretabile grazie ad una ovvia e triste chiave di lettura: farsi carico di evidenze che non sono state considerate dalle procedure nella fase di autorizzazione, significa mettere in discussione qualcosa di “consolidato”.
Ciò espone al rischio di dover assumere responsabilità e prendere decisioni, le quali, anche quando giustificate dalla difesa di interessi superiori quali l’ambiente o la salute dei cittadini, entrano in contrasto con interessi privati, adeguatamente e aggressivamente difesi. Di tali responsabilità, poi, si rischia di… dover rispondere! Mentre nell’ambito del sistema di farmaco sorveglianza dei farmaci per la salute dell’uomo, anche la testimonianza di effetti collaterali debitamente riferita semplicemente da un farmacista, assume un certo e determinato rilievo di cui tenere debito conto, i fenomeni, le osservazioni e le coincidenze riportate dagli operatori in campo agricolo non trovano alcun ascolto o attenzione.
La mancanza di un adeguato sistema di monitoraggio nella fito-sorveglianza, che preveda la registrazione e lo studio dei possibili impatti negativi dei p.a. e dei prodotti fitosanitari, dopo la loro autorizzazione, appare come una voluta e “programmata” sottovalutazione delle possibili evidenze di campo. Il mondo della ricerca, poi, e particolarmente quello del nostro beneamato paese, sembra prediligere una monotona attitudine alla “prudente” dimensione del dubbio scientifico, accompagnata dalla necessità di approfondire le ricerche con “conseguente” e relativa richiesta di ricevere i finanziamenti ad esse necessari.
Questo anche quando i fenomeni osservati già forniscano concreti indizi e sia più che possibile e sensato sviluppare ipotesi di natura interpretativa, formulando indicazioni di responsabilità e di azioni correttive possibili. Da sottolineare, nello specifico, come assai circoscritte, se non nulle da parte di alcuni importanti enti della ricerca apistica, siano risultate le valutazioni ed osservazioni, critiche e propositive, sulle procedure pubbliche per la determinazione della esposizione delle api soggette ai principi attivi neurotossici, di elevatissima tossicità. Tali procedure, ritenute adeguate e sufficienti per l’autorizzazione delle nuove e assai tossiche molecole insetticide, hanno mostrato tutti i loro limiti sia grazie ad alcune ricerche indipendenti, sia a fronte delle generali evidenze di campo.
Nonostante ciò, pur tenendo conto di importanti eccezioni da parte di alcune istituzioni scientifiche nazionali, nella maggior parte dei casi si denota una risposta non adeguata rispetto al probabile e assai rilevante danno all’ambiente e alla salute dei cittadini. Una ritrosia ad attivare contraddittori con le potentissime lobby delle industrie sementiere e agrochimiche, il cui ruolo di potenziali finanziatori non sfugge.
Una netta difficoltà a richiedere l’applicazione del “principio di precauzione” che dovrebbe essere di scontato riferimento in particolar modo per quegli istituti di ricerca che hanno valenza pubblica. Le “argomentazioni” dei colossi della chimica, dell’agroindustria e dei loro più o meno dichiarati e vari sostenitori In tale contesto i soggetti portatori degli enormi interessi economici, connessi alle scelte agronomiche dell’agroindustria e delle holdings produttrici di fitofarmaci, ben supportati da quanti in forma singola o associata dipendono da tale complesso e articolato sistema produttivo, si sono alacremente attivati a cercare di sollevare più confusione possibile sia in merito alle caratteristiche del fenomeno delle morie, sia sulla/e possibili cause.
Possiamo schematicamente suddividere le loro argomentazioni avanzate, con notevole dispiegamento di mezzi e relativa impudenza, in due intrecciate tipologie di considerazioni seppur accomunate da una unica, evidente finalità
Prima modalità ovvero come confondere le acque adoperando la storia: morie d’api si sono già verificate in passato e in ogni caso sono connaturate alle api e…fisiologiche L’elencazione di tutti i fenomeni di gravi morie delle api nella recente storia dell’apicoltura razionale non è di alcun interesse quando sottende l’evidente volontà di negare l’effettiva originalità per importanza, per dimensione globale e per reiterazione degli eventi verificatisi negli ultimi anni. Il tentativo di focalizzare l’attenzione su episodi di precedenti morie, proposto proprio da chi è portatore di evidenti interessi di parte, rende palese, anzi, una finalità di insabbiamento piuttosto che qualsivoglia volontà di approfondimento di quanto sta accadendo. Rispetto al passato ciò che al contrario si evidenzia senza ombra di dubbio è la marcata novità che presentano parte degli spopolamenti e delle morie con manifestazioni che non hanno precedenti di sorta.
La sparizione, solo per fare un esempio, di tutte le api di campo registratasi nella primavera del 2007 in Pianura Padana, con le famiglie d’api nel pieno del loro ottimale sviluppo primaverile, senza sintomi patologici di sorta e, per giunta, accompagnata dalla mancanza del classico sintomo di avvelenamento costituito dalla distesa a tappeto di api morte davanti alle arnie, è fatto che per dimensione e reiterazione non ci risulta si sia mai verificato fino agli anni novanta. Il dato di partenza, da cui non si può prescindere per avviare un confronto costruttivo, è che ci sono effettivamente accadimenti nuovi che contribuiscono in modo impressionante a cambiare lo scenario di sopravvivenza dell’ape… e non solo dell’ape. Seconda modalità ovvero come cercare di alzare cortine fumogene: morie effettivamente gravi…ma dovute a cause multifattoriali con esclusione certa e “scientifica”degli insetticidi.
Tanti colpevoli…nessun colpevole! Tanto più un organismo vitale è complesso, tanto più dimostra elementi di fragilità e di criticità che, tra loro correlati, possono provocarne crisi insuperabili. Sempre però vi sono una o più cause che assumono l’aspetto di elemento scatenante della crisi stessa.. Attardarsi nei sofismi e limitarsi ad elencare tutte le possibili e correlate cause di criticità sottende ed evidenzia una operazione inequivocabile: cercare di evitare l’individuazione degli elementi che provocano squilibri fuori dalla norma. Se un anziano si frattura il femore è probabile che possa morire per affezione polmonare: ciò che ha scatenato il decesso, però, non è certo l’affezione respiratoria. Gli esempi nella recente storia non mancano, come ricordavamo prima a proposito dell’amianto.
Gli scenari non sembrano cambiare e nemmeno i copioni dei vari soggetti in campo. La “prima linea di difesa” dietro cui si arrocca chi è accusato di una qualche responsabilità negli accadimenti, ma al contempo detiene importanti interessi economici da difendere negli stessi, è sempre uguale: negare ogni responsabilità anche di fronte alla evidenza dei fatti! Anche in questo caso, puntualmente, si ha il coraggio di sostenere che, dalla pedante elencazione delle “multifattoriali” cause responsabili delle morie delle api, sarebbero da escludere responsabilità derivate dall’uso delle nuove molecole insetticide.
La assoluta “innocuità” dei preparati a base di neonicotinoidi sarebbe stata comprovata da uno studio tedesco, studio finanziato e “orientato” dalle stesse multinazionali produttrici degli insetticidi. In tale “monitoraggio”, facciamo notare, come non venga considerata la variabile derivante dalla esposizione delle api ai metaboliti prodotti dalle piante per tutto il loro ciclo vegetativo dopo essere state trattate con principi attivi ciclotropici! Tale “innocuità” sarebbe poi confermata da un recente studio francese che però al contrario è inserito nell’ambito di una nuova, interessante e complessa ricerca che ha portato alla riconsiderazione della pericolosità dei neonicotinoidi. Il risultato degli studi ha portato in Francia, giust’appunto diversamente che in Italia, alla sospensione dell’uso di differenti preparati o quantomeno al loro inserimento in protocolli con grandi limitazioni d’uso e di rigida osservazione e controllo dei possibili effetti sull’ambiente ed in particolare sull’entomofauna.
Gli stessi soggetti d’altronde negli anni novanta sostenevano l’assenza di tossicità per le api dei preparati a base di Imidacloprid, asserendo una “scientifica” scarsa residualità del prodotto nelle piante visitate dalle api. A fronte dell’affinamento delle capacità analitiche e della dimostrazione di notevole persistenza nel tempo della molecola con effetti residuali misurabili sia nel suolo e sia addirittura nelle culture in successione l’”autodifesa” è passata ad affermare, in totale mancanza di adeguati elementi di prova, la non tossicità dei prodotti per le api ai dosaggi rilevati. Le concause di possibile stress per la api Per sgomberare il campo da inutili disquisizioni è importante qui affermare che differenti sono le cause con effetto certo sulla vitalità delle api e che nel contempo, per alcune di esse, non è possibile prevedere o mettere in atto risposte di breve e/o medio periodo (vedi ad esempio i problemi derivanti dai cambiamenti climatici).
A questo riguardo segue, allegata, una breve elencazione di considerazioni sulle varie concause note, del progressivo aggravarsi delle condizioni negative nelle quali oggi si pratica l’allevamento apistico. Riteniamo, però, che l’obiettivo per tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti dal problema, sia quello di individuare la/le possibili cause che , sommandosi e amplificando gli effetti degli elementi negativi di fondo preesistenti, fa precipitare la situazione. E’ evidente che ci riferiamo alla classica “goccia che fa traboccare il vaso” la cui rimozione può contribuire a contenere, se non ad eliminare, il danno. La vera e grande “novità”: i recenti indirizzi della produzione agronomica L’unica certezza che, a oggi, accomuna l’insieme delle problematiche verificatesi in campo è quella di un enorme peggioramento degli equilibri vitali, necessari per il mondo degli insetti, provocato dalle modificazioni ambientali in atto su scala planetaria. Di fronte a questa variazione l’ape dimostra una particolare fragilità.
Negli ultimi decenni, con una impressionante intensificazione negli ultimi anni, si è, infatti, verificato un immane ed epocale cambiamento delle modalità produttive agricole e di conseguenza del paesaggio botanico naturale. Siamo in presenza di modifiche ambientali con conseguenze ancora poco valutate, per l’importanza che assumono ai fini della sopravvivenza e della vitalità di tutto il mondo animale e di quello degli insetti in particolare. E’ l’insieme del mondo degli insetti che sta male…molto male!
A conferma di quanto sopra affermato, è sufficiente riflettere sul fatto che se l’ape domestica è accudita e allevata dagli apicoltori, che ricostruiscono pazientemente i loro apiari dalle perdite subite, gli insetti solitari (che rappresentano l’80% delle varie specie di apoidei) sono soggetti ad una ancor più forte difficoltà e, in alcuni casi, sono estinti o a rischio di sparizione. Basti citare ad esempio lo studio pubblicato dall’autorevole rivista Science Magazine -7/06- che rispetto al 1980 conferma la perdita del 52% delle api selvatiche in Gran Bretagna e del 67% nei Paesi Bassi.
La percezione di tale enorme danno alla biodiversità e alla vita vegetale e animale certamente non è immediata. Gli allarmi degli apicoltori andrebbero pertanto colti quali segnali dalla punta dell’iceberg di un enorme, difficilmente “visibile”, ma non per questo meno allarmante, squilibrio ambientale. Riduzione della varietà floreale e delle risorse di pastura per gli insetti, incremento esponenziale d’uso di diserbanti…
L’affermarsi, sempre più esteso nel mondo, delle monocolture in successione (“perenni” e con effetti addirittura desertificanti in alcuni areali), assieme a quello delle coltivazioni geneticamente modificate, comporta l’impressionante incremento d’utilizzo di diserbanti e una immensa perdita di biodiversità vegetale e di conseguenza animale. A titolo di esempio ricordiamo lo studio di un’Agenzia governativa brasiliana del 2007 dal quale si rileva che l’uso di erbicidi a base di glifosato è aumentato del 79,6 % dal 2000 al 2005, molto più velocemente rispetto alla effettiva espansione della superficie coltivata a soia tipo SRR (Soia Roundup Ready, soia modificata geneticamente per resistere all’azione del Roundup, diserbante a base di glifosato). Né deve essere sottovalutato come i nuovi indirizzi dell’agricoltura estensiva, basati su un sempre più accentuato utilizzo della chimica e, più recentemente, sulle tecniche di manipolazione genetica, dimostrano nel breve periodo di essere perdenti e incapaci di competere con le agricolture rispettose degli ambienti e dei bioritmi naturali.
Vogliamo ancora ricordare il caso (non l’unico registrato negli ultimi anni) della diffusione su centinaia di migliaia di ettari di una nuova infestante (l’erba di Johnson) nelle coltivazioni di soia SRR. La natura, ovviamente, è riuscita a selezionare con relativa facilità una resistenza analoga a quella indotta nella soia dai manipolatori di geni e adesso si stima che, per risolvere il problema, occorrerà usare 25 milioni di litri di erbicidi diversi dal glifosato. Il “deserto” di varietà botanica, che caratterizza oramai grandi superfici agricole, penalizza in particolare le necessità di approvvigionamento delle api nei periodi dello sviluppo e nelle fasi, vitali, della preparazione all’invernamento e della ripresa primaverile.
E’ un dato incontrovertibile che sotto il profilo della varietà e della continuità degli apporti botanici enormi areali sono a questo punto totalmente o parzialmente incompatibili con la vita delle api e degli altri insetti pronubi, per l’incostanza e/o insufficienza di risorse di pascolo, nettare e polline. Insetticidi di nuova e diversa veicolazione e di crescente impatto Se qualcuno sostenesse che, in caso di conflitto armato, sia meglio utilizzare una o poche bombe atomiche piuttosto che tonnellate di bombe convenzionali non gli dedicheremmo più di un attimo d’attenzione. E’ infatti concetto condiviso che una sola testata nucleare ha una potenza distruttiva equivalente a infinite ogive convenzionali.
Eppure un’analoga comparazione quantitativa è quella in gran voga in merito all’ utilizzo di fitofarmaci dispersi nell’ambiente nella guerra agli insetti dannosi. Per certe lobby agroindustriali e per i politici e responsabili amministrativi che riescono a influenzare, sembrerebbe infatti contare solo la riduzione quantitativa e non la valutazione qualitativa delle “armi” in uso. In realtà, la tecnologia attuale ha posto a disposizione dell’uomo strumenti, molecole e metodi agronomici assolutamente straordinari, per tossicità ed efficacia distruttiva, rispetto a quelli in uso ancor poco tempo or sono. Di fatto, varie delle attuali tecniche e prassi agronomiche implicano l’utilizzo costante e crescente di preparati sempre più pesanti e letali (anche quando si tratta di combattere insetti dannosi e banali come la Diabrotica del mais che è contrastabile con il semplice avvicendamento delle colture). E’sufficiente in proposito rammentare tutti gli interrogativi posti dalla diffusione del mais BT, prodotto transgenico che contiene un gene per la produzione della tossina Bt del Bacillus thuringensis. La tossina Bt esercita un’azione insetticida contro le larve dei lepidotteri (farfalle). La molecola è prodotta da tutti gli organi della pianta per tutto il ciclo di vita e gli insetti impollinatori sono esposti ai suoi potenziali e non del tutto conosciuti effetti. Secondo un primo importante studio di Hans-Heinrich Kaatzui “il gene utilizzato per modificare la colza si è trasferito in un batterio che vive negli intestini dell’ape”.
Le ricerche in merito hanno dato ad oggi risultati contraddittori e divergenti, ma la gravità e il rilievo del dubbio è notevole. In effetti l’ape, in tutte gli stadi del suo sviluppo, può in teoria entrare in contatto con la tossina contenuta nel polline. Nessuno ha fatto uno studio dell’impatto ambientale nel tempo di tale rilevante e continua esposizione all’efficace azione dell’insetticida. Tale rischio è uno dei motivi per cui, precauzionalmente, la Francia ha deciso di non consentire la commercializzazione e coltivazione di mais Mon 810, l’unica coltura geneticamente modificata di cui sia autorizzata la coltivazione in Europa Il tema dell’impatto ambientale complessivo degli insetticidi assume particolare rilievo per noi italiani, visto che oltre ad essere la nazione dell’eccellenza alimentare, siamo in Europa anche il paese con il più elevato e impressionante utilizzo di questi prodotti.
L’Italia infatti distribuisce nelle sue campagne ben il 33% della quantità totale di insetticidi utilizzati nell’intero territorio comunitario , a fronte di una S.A.U. nazionale (superficie agricola utilizzata) ampiamente al di sotto del 10% del totale della S.A.U. europea. Affermiamo con forza che l’impatto degli insetticidi è una, probabilmente la principale, delle novità che influenza negativamente gli equilibri ambientali con drammatiche ripercussioni sulla vitalità delle api. Nello specifico noi apicoltori constatiamo come alcuni prodotti fitosanitari in particolare siano causa di spopolamenti e di importanti mortalità negli apiari.
Abbiamo più volte denunciato il fatto che i fenomeni si manifestano a seguito d’irrorazioni, di dispersioni di polveri o di utilizzo di sementi conciate e come gli effetti si verificano in modo ben più subdolo e prolungato nel tempo rispetto agli esiti provocati dall’uso dei tradizionali insetticidi. Spesso le intossicazioni dovute a dosi solo apparentemente subletali, provocano la comparsa di disfunzioni comportamentali, egualmente letali per la vita degli insetti, ma difficili da cogliere nel loro manifestarsi e nei rapporti di causa/effetto. I prodotti sospetti sono gli insetticidi sistemici neurotossici utilizzati sia in nebulizzazione (Confidor, Actara… per esempio) ma soprattutto nel trattamento conciante delle sementi o del suolo (Cruiser, Poncho, Régent, Gaucho…).
I neonicotinoidi: l’opposto della “lotta integrata” L’utilizzo dei neonicotinoidi di seconda generazione è l’antitesi della protezione delle piante contro l’aggressione degli insetti fitofagi, basata sui concetti fondanti della lotta integrata; corrisponde ad un trattamento a quantità unica, realizzato nel momento in cui si ignora generalmente quali specie di insetti nocivi saranno da combattere ed a quale livello d’infestazione si dovrà far fronte. La lotta integrata presuppone al contrario l’intervento fitofarmaceutico solo quando occorre, alla quantità che risponda al grado d’infestazione con preparati a limitata persistenza e di tossicità mirata a produrre effetti limitati ai soli insetti obiettivo, effettivamente presenti.
L’utilizzo dei neonicotinoidi equivale ad un ritorno a micidiali organoclorati, quali il Lindano, tale famiglia chimica neurotossica e sistemica presenta infatti elevatissima tossicità, micidiale efficacia sugli insetti (ma non solo sugli insetti) che vengono contaminati, persistenza con accumulo nel suolo, nelle colture in successione e nelle acque! Agricoltori e apicoltori: una collaborazione indispensabile Gli insetticidi neurotossici esplicano la loro attività insetticida su tutti gli insetti impollinatori, non solo sulle api! Il danno per gli agricoltori rischia di divenire doppio! Si spende di più per l’acquisto del seme e si rischia domani di raccogliere meno perché l’azione di impollinazione fatta dagli insetti è insufficiente. Le api sono una vera e propria sentinella ambientale. Per raccogliere un chilo di miele visitano milioni di fiori e ettari ed ettari di territorio.
Questo le rende particolarmente sensibili a tutti gli inquinamenti. Gli apicoltori si sono accorti per primi di quello che sta accadendo e dicono al mondo agricolo attenzione: queste nuove famiglie di insetticidi costituiscono un problema grave per tutti, ma prima di tutto sono un problema per gli agricoltori stessi. Se vogliamo mantenere la fertilità dei terreni non dobbiamo lasciar prevalere un modello produttivo che rischia di trasformare in un deserto anche la terra più fertile e ricca di forme vitali La valutazione dei prodotti fitosanitari Eppure, prima di essere immessi sul mercato, i prodotti fitosanitari, vengono valutati in relazione ai rischi che possono presentare per le persone, le piante, gli animali e l’ambiente in generale. Si tratta di procedure rese obbligatorie dalla legislazione europea e nazionale.
Questa valutazione è sufficiente per la corretta valutazione dei rischi che questi prodotti possono comportare per la vita delle api? Alcune pubblicazioni scientifiche[1] hanno recentemente affrontato, finalmente, la questione. La valutazione dei rischi dei prodotti fitosanitari per una specie si effettua secondo degli schemi valutativi stabiliti dalla normativa[2], che definiscono gli studi da intraprendere e i casi in cui andranno effettuati. Per esempio, per valutare il rischio di un prodotto per una determinata specie animale, bisogna innanzitutto verificare se la specie potrà essere esposta o meno; in caso affermativo, si valuterà se la quantità di sostanza tossica a cui gli individui della specie rischiano di essere esposti costituisca effettivamente un pericolo.
A tal fine, un primo valore è calcolato sulla base di dati quali la quantità di coltura trattata che l’animale può ingerire e la tossicità della sostanza per l’animale. Tale valore da una prima indicazione sull’esistenza o meno di rischi per l’animale, qualora ve ne fossero, la valutazione prosegue con studi complementari.
Per le api, lo schema attuale di valutazione inizia con la determinazione di un «Hazard Quotient» o HQ (coefficiente di rischio). Tale coefficiente è calco