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Ivan, una storia russa

Ivan, una storia russa

di Ernst SchuberthTriartis Pagine: 51
10,00
Edizione: 2022
10,00
Ivan, un giovane bracciante agricolo russo, in seguito a un incidente in slitta di cui rimane vittima la vigilia di Natale, deve subire l’amputazione degli arti. Il suo rivale Pavlov lo ha lasciato assiderare nella neve, ma subito dopo, in preda al rimorso, lo ha salvato da morte certa. Come riuscirà Ivan a vivere e ad affrontare questa terribile disgrazia che lo ha stroncato nel fiore degli anni?

Traduzione di Fabio Alessandri

Illustrazioni di Patrizia Loyola


Nell’antica Russia viveva in una fattoria un servo di nome Ivan. Era grande e forte e con i suoi vent’anni poteva già lavorare come un vero uomo, se egli non fosse stato… beh, vedrete voi stessi che era grande ma non ancora saggio.
Era inverno e una grande bianca coperta di neve si era stesa sulla campagna, avvolgendo tutto. Anche le strade del paese, che in autunno erano talmente paludose che non era possibile percorrerle a cavallo, si erano ghiacciate ed erano state ricoperte di neve, così da diventare ottime piste sulle quali chi aveva tempo e voglia di divertir­si, o chi doveva procurarsi qualcosa, poteva viaggiare al suono dei campanelli della sua slitta. Quando due slitte si incrociavano, i loro occupanti si scambiavano allegramente alcune parole di saluto. Du­rante l’ultima notte il vecchio strato di neve era stato ricoperto da una spolverata di neve fresca finissima che si sollevava al passare del­le slitte fino ai garretti dei cavalli e turbinava dopo il loro passaggio come una piccola bandierina di nebbia.

Era la notte santa e se anche nell’antica Russia il Natale veni­va festeggiato diversamente da come lo si fa da noi, anche allora era festa. Chi poteva andava in chiesa la sera, dove la messa durava a lungo fino a notte inoltrata. Il giorno di Natale poi massaie e domesti­che allestivano un pranzo festivo. Anche nella fattoria in cui era a servizio Ivan i preparativi era­no già in corso da diverso tempo. Ivan doveva essere libero per poter andare anche lui in chiesa nel paese chiamato Pawlowsk che si trova­va circa sette verste lontano. Si lavò meglio del solito e indossò i suoi abiti migliori. Naturalmente non dovete immaginarvi che un servitore russo nell’antica Russia avesse da scegliere molto tra i suoi vestiti. Tuttavia i pantaloni, la giacca e la camicia che indossò quel giorno erano quel che aveva di meglio. Gli stivali ruvidi imbottiti di paglia do­vevano tenergli caldi i piedi. Una pelliccia di pecora e un grosso ber­retto di pelliccia che si poteva allacciare sotto al mento lo protegge­vano dal freddo venuto con il vento dell’est.

Egli attaccò allegramente un cavallo alla slitta, gli cambiò l’im-bottitura di paglia, fece schioccare la frusta e partì attraverso il portone della fattoria lungo il sentiero leggermente sopraelevato della diga. Non aveva ancora fatto duecen­to passi che gli venne incontro Elisabetta, la serva, con una slitta cari­ca di fieno. Era andata a prenderlo per le mucche, nel pagliaio che si trovava poco lontano in mezzo ai prati innevati.

 Ivan sollecitò il suo cavallo a colpi di frusta e passò accanto a Elisabetta, la quale rapidamente guidò il suo cavallo sull’orlo dello stretto sentiero, così che la sua slitta carica di fieno si piegò su un lato rovesciandosi. Ivan se ne era accorto e udì Elisabetta gridare: «Ivan, fermati, aiutami a raddrizzare la slitta e a caricare di nuovo il fieno!»
Egli di rimando le rispose di buon umore: «Oggi sono libero!» e se ne andò.
Ad Elisabetta dispiacque molto che Ivan le avesse risposto così. “Questo non è l’Ivan che spesso mi ha aiutato quando avevo biso-gno, – pensò tra sé e sé – e che sa essere sempre allegro e pronto al lavo­ro”. Così dovette raddrizzare la slitta da sola e fare due viaggi per por­tare il fieno nella stalla delle mucche. Il suo cavallo marrone la aiutò pazientemente senza lamentarsi, nonostante per lui fosse già venuto da tempo il momento di mangiare.

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